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Sulla «verità» o «falsità» di teorie antagoniste

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annodato
view post Posted on 9/10/2006, 22:29 by: annodato




Tra i tanti fondamentalismi che ricordi (il testimone di Geova, il cattolico integralista, il fondamentalista islamico magrebino) ti sei dimenticato il fondamentalismo più pericoloso: quello razionale.
E' più pericoloso per il semplice motivo che è il nostro. Sappiamo bene che i fondemantalismi sono tali che risultano invisibili a coloro che li praticano (al più sono considerati come valori morali, etici). Ma qua casca l'asino (quello che vola naturalmente). Proprio il nostro fondamentalismo (quello razionale) ha da tempo perso contatto con il proprio senso più profondo (il proprio valore etico), e così smette di avere qualsiasi valore (grossolanamente annichilito). Qual è il senso più profondo del fondamentalismo razionale? Il punto di vista critico, naturalmente. Quando il pensiero razionale perde il punto di vista critico diventa una barzelletta di cui si conosce già il finale (una barzelletta che non fa ridere).
Chi ha paura delle metafisiche? Coloro che si vergognano di loro.
Il linguaggio delle metafisiche è una minaccia a mano armata? Mi ricorda l'enciclica di papa Giovanni Paolo II "Fides et Ratio" che parla (ancora) dei cattivi maestri (immagino Nietzsche e Heidegger su tutti - come sempre).
Ma proprio non ti accorgi che il linguaggio (il pensiero) referenzialmente orientato è fondato anch'esso su una metafisica? Negandolo, si rinuncia al metodo critico (si rinuncia alla filosofia, in nome del fondamentalismo razionale, una contraddizione in termini - vale a dire - la crisi in cui siamo gettati).
Quando ripeti più volte "resta il fatto che" ti appelli ad evidenze che di evidente hanno solo la parvenza. La realtà non è un rebus, non ha bisogno di una chiave per essere descritta. La realtà e la chiave (se proprio vogliamo utilizzare queste suggestioni) hanno origine dallo stesso evento. E se proprio non possiamo rinunciare alla mente storica (che colloca tutto in un universo cronologico) allora dobbiamo dire che viene prima la chiave e poi la realtà. La chiave è sinonimo di una pratica (l'apertura delle porte) e se metti una porta in un deserto allora il deserto smette di essere tale e diventa un al di qua e un al di là, un dentro e un fuori... ma non va bene dire neanche così, perché non pratichiamo "un" dentro ma "il" dentro, pratichiamo l'io soggettivo e personale e la realtà oggettiva e materiale.
Tutto per aver messo una porta in un deserto, in un mondo che non parlava. Certo un mondo che non aveva significato, ma un mondo che aveva senso, cioè non ancora mondo, non ancora deserto.

Almeno secondo me.
 
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4 replies since 12/9/2006, 15:07   410 views
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