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Sulla «verità» o «falsità» di teorie antagoniste

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view post Posted on 12/9/2006, 15:07
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Mi è tornato poc'anzi in mente, mentre discutevo in Perché c'è l'essere invece che il nulla?, un pensiero.

Un medesimo evento può essere spiegato da molteplici teorie. Perciò non si potrà dire che l'una teoria sia «vera» e che l'altra, da quella diversa, sia «falsa».

Poniamo per esempio che l'evento in questione sia il risultato numerico 12. Esso può essere spiegato da molte diverse teorie; ad esempio dalla teoria «5+7», o dalla teoria «3×4», o dalla teoria «13-1»...

Trattandosi, altrove, di teorie più complesse che non grulle espressioni aritmetiche provviste di mere costanti e nessuna variabile, può ben darsi che non semplicemente un solo evento, ma tutta una serie di eventi si trovi ad essere spiegata contemporaneamente da diverse teorie.

Estremizzando, si immagini che tutti gli eventi di un sistema finora emersi si siano potuti sempre spiegare con teorie diverse. Non sarà possibile decidere quale teoria sia «l'unica vera», finché non emerga un evento che sia spiegabile da una e una sola di tali teorie, e sul quale tutte le altre s'intoppino. Ma se un tale evento monospiegabile non emergerà mai, ebbene, quelle teorie sono da dirsi «vere» tutte quante, allo stesso modo in cui il Gatto di Schrödinger è contemporaneamente vivo e morto.

A questo punto viene naturale ricordare che la scienza, almeno dal Seicento, è proceduta e procede secondo il metodo sperimentale; e che tale metodo è impotente di fronte alla infinità degli eventi nel tempo, per cui l'ingegno umano deve accontentarsi di generalizzare, senza nessuna autentica certezza della «verità» delle teorie sperimentate, cioè del loro poter spiegare qualsiasi evento che si possa presentare, domani o posdomani, sul palcoscenico di loro competenza. Lo sappiamo tutti, no?

Che altro dire?

Edited by Hamlet da Hamelin - 23/9/2006, 08:30
 
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Outisemeuzontos
view post Posted on 12/9/2006, 17:46




Il problema è interessante (trattasi invero di prove tecniche di epistemologia).

In effetti il vecchio Popper (il cui fantasma sembra qui aleggiare), la metteva davvero in questi termini, dicendo che: 1) le teorie formulabili sono di principio infinite; 2) le teorie scientifiche si postula che siano falsificabili (=confutabili) in base all'esperimento che esse predispongono; 3) fra le infinite teorie in concorrenza, tutte false, alcune sono più verosimili (sono, per dirla con Parmenide, una congettura meglio ragionata e più plausibile sul mondo) di altre. Il modo per distinguere le teorie più verosimili, secondo il vecchio Popper, era semplice: una teoria è più verosimile di un'altra se e solo se: 1) il suo contenuto di verità è maggiore, senza che sia maggiore anche il suo contenuto di falsità; 2) il suo contenuto di falsità è minore, senza che sia minore anche il suo contenuto di verità. Si poneva così un criterio di verosimiglianza: non abbiamo teorie vere, ma solo teorie verosimili, che vanno di volta in volta aggiornate, in vista di un ideale regolativo di verità, che ci guida e ci impone di cercare di confutare la teoria in auge per scoprire quanto prima l'errore e formularne una migliore (il cosiddetto comando metodologico della falsificazione).

Senonché, le cose si sono dimostrate via via meno semplici, col tempo.

Il punto 2), il famoso criterio di falsificabilità, secondo cui le teorie scientifiche sono controllabili perché confutabili, entra in crisi di fronte al postulato di Quine-Duhem, e alle osservazioni di Hick sul linguaggio religioso. Il postulato di Quine-Duhem afferma semplicemente che il ricercatore può "gridare più forte" dei fatti che confutano la teoria, assumendo una posizione di "contro-confutazione", perfettamente legittima, in linea di principio, sul piano metodologico (specie se nessuno al momento è stato così bravo da trovare di meglio della teoria in auge). Il caso dell'astronomia tolemaica è tipico. Ne consegue che una teoria scientifica non approda a una falsificazione conclusiva, dato che anche il protocollo falsificante (la controasserzione che smentisce una teoria) può essere contestato. Ma in linea di principio, dice il filosofo analitico del linguaggio religioso Hick, sono le visioni religiose a non essere conclusivamente falsificabili. Quello che Hick dice delle religioni, può essere esteso a tutte le teorie che Popper chiama metafisiche, cioè a tutte le ipotesi non confutabili sperimentalmente in via conclusiva. Ne consegue che non è possibile fornire un criterio logico di scientificità basato sul concetto di falsificazione.

Allo stesso modo, il criterio di verosimiglianza di Popper si sfascia come un castello di carte, di fronte alle confutazioni logicamente circostanziate di logici come Larry Laudan o Pavel Tichy, che fanno leva su una semplice osservazione: l'unico modo di misurare il contenuto di verità di una teoria è guardare al numero di previsioni giuste che essa fa. Ma l'insieme delle previsioni di una teoria è un insieme infinito: sono infinite sia le previsioni vere sia quelle false. Pretendere di misurare la verosimiglianza sul piano logico è come pretendere di misurare la maggior lunghezza di un segmento... contandone i punti! Il risultato è che 1) non abbiamo una distinzione logica solida fra scienza e non scienza; 2) non abbiamo un criterio di verosimiglianza che ci permetta di distinguere sul piano logico le teorie migliori da quelle peggiori; 3) abbiamo al massimo un orientamento fallibilista, che preso come tale, non è più legittimo di una qualunque altra posizione dogmatica o metafisica (tipo, extra ecclesiam nemo salvatur).

L'unica alternativa è ridefinire le categorie dell'epistemologia (e qua siamo davvero alle prove tecniche) sulla base di categorie semiologiche elementari, approdando a una trasformazione semiologica dei cosiddetti tre mondi di Popper (il mondo 1 degli oggetti extramentali, il mondo 2 degli stati psichici, il mondo 3 delle teorie e dei significati).

Si deve in altre parole riflettere sul fatto più che banale che il mondo degli enunciati linguistici (ridefinizione semiotica del mondo 3) è di principio altro dal mondo dei referenti (ridefinizione semiotica del mondo 1); inoltre, il mondo degli enunciati linguistici è di principio orientato a comunicare il mondo dei referenti. A questo punto, il problema della falsità o della verità delle teorie, della concorrenza fra teorie false, dell'infinità degli eventi con cui si può avere a che fare, etc., passa in certo modo in secondo piano, rispetto a un'altra questione, che si rivela più fondamentale. Tale questione è: se vogliamo conoscere il mondo dei referenti (la realtà extralinguistica ed extramentale), possediamo un linguaggio che sia formalizzato in modo da essere referenzialmente orientato? Che è poi come dire: ammettiamo di principio la possibilità che le nostre asserzioni siano false, perché costitutivamente altre dal loro referente: pertanto è necessario formalizzare linguaggi e metodi che permettano di mettere in secondo piano l'elemento conativo-emotivo (pragmatico, retorico) della comunicazione di un evento, mettendo al centro il contenuto informativo e l'attenzione al referente esterno al linguaggio, e ai fattori disposizionali (pragmaticamente alterabili con la retorica) dei destinatari del messaggio.

Insomma, l'ingegno umano, più che accontentarsi di generalizzare senza certezza, con riluttante rassegnazione rispetto all'imperscrutabile, deve porsi il problema di costruire un linguaggio e un metodo che rendano conto della confutazione, senza che sia legittimo ignorarla. In parole povere, il testimone di Geova potrà ben dire che si può sostituire il sangue con elementi in provetta: resta il fatto che, sul piano medico, chi ha perso troppo sangue e non effettua trasfusioni, rischia la vita; e così, il cattolico integralista può ben dire che è immorale usare le staminali: resta il fatto che sul piano medico, le staminali arginano la sclerosi laterale amiotrofica, l'Alzheimer e tante altre brutte cose; e altrettanto, il fondamentalista islamico magrebino potrà ben dire che l'infibulazione è necessaria, se no quelle svergognate delle femmine orgasmerebbero per strada: resta il fatto, che sul piano medico l'infibulazione determina aumento della mortalità fra le bambine e sterilità diffusa. Il linguaggio del fondamentalista islamico, dell'integralista cattolico, del testimone di Geova è orientato a forzare pragmaticamente il destinatario con minacce; il linguaggio della medicina è referenzialmente orientato a descrivere ciò che, fino a prova contraria, tutela il benessere psicofisico degli individui. Il linguaggio delle metafisiche (almeno di alcune) è una minaccia a mano armata; il linguaggio referenzialmente orientato (e il metodo critico) della scienza è la chiave per descrivere la realtà. Quando si possiedono metodo critico, dialettica e un linguaggio formalizzato dal forte orientamento referenziale, l'infinità degli eventi possibili non è un problema così grosso.

Almeno secondo me.
 
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annodato
view post Posted on 9/10/2006, 22:29




Tra i tanti fondamentalismi che ricordi (il testimone di Geova, il cattolico integralista, il fondamentalista islamico magrebino) ti sei dimenticato il fondamentalismo più pericoloso: quello razionale.
E' più pericoloso per il semplice motivo che è il nostro. Sappiamo bene che i fondemantalismi sono tali che risultano invisibili a coloro che li praticano (al più sono considerati come valori morali, etici). Ma qua casca l'asino (quello che vola naturalmente). Proprio il nostro fondamentalismo (quello razionale) ha da tempo perso contatto con il proprio senso più profondo (il proprio valore etico), e così smette di avere qualsiasi valore (grossolanamente annichilito). Qual è il senso più profondo del fondamentalismo razionale? Il punto di vista critico, naturalmente. Quando il pensiero razionale perde il punto di vista critico diventa una barzelletta di cui si conosce già il finale (una barzelletta che non fa ridere).
Chi ha paura delle metafisiche? Coloro che si vergognano di loro.
Il linguaggio delle metafisiche è una minaccia a mano armata? Mi ricorda l'enciclica di papa Giovanni Paolo II "Fides et Ratio" che parla (ancora) dei cattivi maestri (immagino Nietzsche e Heidegger su tutti - come sempre).
Ma proprio non ti accorgi che il linguaggio (il pensiero) referenzialmente orientato è fondato anch'esso su una metafisica? Negandolo, si rinuncia al metodo critico (si rinuncia alla filosofia, in nome del fondamentalismo razionale, una contraddizione in termini - vale a dire - la crisi in cui siamo gettati).
Quando ripeti più volte "resta il fatto che" ti appelli ad evidenze che di evidente hanno solo la parvenza. La realtà non è un rebus, non ha bisogno di una chiave per essere descritta. La realtà e la chiave (se proprio vogliamo utilizzare queste suggestioni) hanno origine dallo stesso evento. E se proprio non possiamo rinunciare alla mente storica (che colloca tutto in un universo cronologico) allora dobbiamo dire che viene prima la chiave e poi la realtà. La chiave è sinonimo di una pratica (l'apertura delle porte) e se metti una porta in un deserto allora il deserto smette di essere tale e diventa un al di qua e un al di là, un dentro e un fuori... ma non va bene dire neanche così, perché non pratichiamo "un" dentro ma "il" dentro, pratichiamo l'io soggettivo e personale e la realtà oggettiva e materiale.
Tutto per aver messo una porta in un deserto, in un mondo che non parlava. Certo un mondo che non aveva significato, ma un mondo che aveva senso, cioè non ancora mondo, non ancora deserto.

Almeno secondo me.
 
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view post Posted on 10/10/2006, 14:08
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CITAZIONE (Outisemeuzontos @ 12/9/2006, 18:46)
Quando si possiedono metodo critico, dialettica e un linguaggio formalizzato dal forte orientamento referenziale, l'infinità degli eventi possibili non è un problema così grosso.

Magari! ma, quanto al linguaggio formalizzato, ahimè, certo ambedue conoscerete Gödel... per cui dobbiamo annotare che non può esistere un sistema formale che sia, al tempo stesso, coerente e completo.

Quanto al metodo critico, mi viene in mente (sono pertinente?) Feyerabend, che è Contro il metodo...

:unsure: Dunque rimane solo la dialettica?


CITAZIONE (annodato @ 9/10/2006, 23:29)
il nostro fondamentalismo (quello razionale) ha da tempo perso contatto con il proprio senso più profondo (il proprio valore etico)[:] il punto di vista critico

:blink: Cioè i razionalisti d'oggi sono tutti eteronomi???
 
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annodato
view post Posted on 12/10/2006, 09:52




Rispondo a partire da due punti di vista:

a partire dalla pratica scientifica
Cito Luciano Nanni - "I cosmi, il metodo. Diario d'arte e di epistemologia 1979/1989":
CITAZIONE
Ciò che fa scientifica una teoria non è la sua verità o falsità, ma la sua controllabilità.
Asterisco 1: una teoria è controllabile se non è internamente contradditoria e se può essere portata al "cimento con i fatti".
Nota: I fatti qui sono segni, cioè a dire "cose viste in pratiche" (verbali e no), se è vero che devono fungere da controllori e che un controllo esige intersoggettività.
Asterisco 2: la prima condizione (la sua non contradditorietà a livello di intensione) pone, a livello di estensione, la possibilità della seconda (il "cimento con i fatti").
Nota: la coerenza qui postulata è quella che pure il teorema di Godel non può non postulare, se vuole essere detto appunto il teorema di Godel.

Feyerabend lo lascerei perdere, non perché è cattivo, perché può fare confusione (se partiamo dalla pratica scientifica).

a partire dalla pratica filosofica
Dunque rimane solo la dialettica? No rimane solo la pratica (anche la pratica dialettica, naturalmente). Un filosofo come Nietzsche (non certo umile) diceva che il compito della filosofia era "semplicemente" quello di far sì che la pratica filosofica stessa rimanesse in vita (non equivochiamo però, allora la filosofia è fine a se stessa, ecc. ecc.). "Io sono la filosofia", diceva Nietzsche, e non intendeva certo dire che le sue teorie erano le più importanti, ma che la filosofia era nel suo corpo (nel suo agire, vale a dire: nella sua pratica). E le teorie? Che importa di Zarathustra! Le teorie sono importanti perché sono pratiche in esercizio, non perché ci danno potere sul mondo (e su noi stessi).
I razionalisti di oggi sono tutti eteronomi? ciò che viene dall'esterno o dall'interno è possibile individuarlo a partire dalla razionalità. I razionalisti di oggi, anche se a parole dicono il contrario, nei fatti si comportano come se interno ed esterno fossero "cose" esistenti (appartenenti all'essere e non al nulla) a prescindere dalla pratica della razionalità. Io questo atteggiamento lo chiamo "perdita del punto di vista critico".

 
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