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Perché c'è l'essere invece del nulla?, E perché ci poniamo questa domanda?

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Outisemeuzontos
view post Posted on 20/9/2006, 20:45 by: Outisemeuzontos




[Glossa del moderatore: aggiungo alcuni link per i meno esperti, cioè cliccando sulle parole sottolineate si apriranno delle pagine di spiegazione. E dove trovate un asterisco, è da intendere: «Attenzione, non cliccate sulla parola indietro e non spostatevi in altre pagine del sito www·filosofico·net che non sia quella qui linkata!, o potreste incontrare un virus exe·exe».]


In effetti la definizione di essere in filosofia è articolata, nella storia.

L'essere di Parmenide e di Melisso di Samo (integralmente ripreso oggi da Emanuele Severino) va inteso come la norma logico-ontologica autoconsistente e non contraddittoria, al di sotto delle manifestazioni contraddittorie che si offrono ai sensi. Queste ultime sono oggetto di una congettura ragionata plausibile, che usa la norma logico-ontologica della non contraddittorietà dell'essere come criterio regolativo (una concezione che viene ripresa dalla filosofia della scienza di Popper: la scienza come doxa -congettura- plausibile, da riaggiustare in base all'ideale regolativo di verità e al confronto coi fatti).

Da qui vengono fuori i percorsi aperti del filosofare platonico, che introduce il concetto di non-essere come alterità, accanto al non-essere come nulla; donde poi la gerarchia ontologica fra l'essere formale e normativo dell'idea, (di cui si dà scienza coerente) distinto, eterno e trascendente rispetto al mondo sensorialmente esperibile, contraddittorio e perituro (plasmato dalla divinità contemplatrice dell'idea), che non è l'idea, e che è un meno di essere rispetto all'idea stessa; del mondo sensorialmente esperibile non si dà scienza coerente, ma solo un ragionare plausibile da rivedere costantemente (ancora una volta il percorso che va da platone alla scepsi [scetticismo], finendo per toccare la tarda scolastica e ponendo le basi della rivoluzione scientifica). Sempre dal filone del platonismo, in epoca tardo-antica, si sviluppa poi l'idea di un non-essere che è un più-che-essere, il superessere del nulla. Quindi la gerarchizzazione dell'essere presente in Platone si complica, nel sistema di Ammonio Sacca*, Plotino e Porfirio. Il non essere (che è superessere) dell'Uno, emana l'essere dell'Intelletto, con i suoi archetipi ideali, da cui emana, dopo contemplazione dell'incontraddittorietà dell'uno, l'anima universale, da cui emana, dopo contemplazione della molteplicità di archetipi perfetti dell'intelletto, il mondo, come ultimo gradino (il più infelice) dell'essere (il meno-di-essere, il quasi-nulla), nel quale l'anima universale si frammenta e si articola nel tempo.

In Aristotele l'essere e il non essere come alterità si arricchiscono del concetto di essenza e di sostanza, cioè dei concetti logico-ontologici di sostrato-soggetto, e di struttura-definizione. Per non parlare della distinzione fra effettiva esistenza concreta e astratto essere logicamente incontraddittorio.

Tutto questo in una lingua in cui il verbo einai, essere, alla terza persona singolare può assumere una forma con accento forte, èsti, che significa contemporaneamente: è, esiste, è vero, è possibile, è necessario... (una lingua di cui fra l'altro è calco il partenopeo: ma non esiste proprio...).

[Aggiungo un link a un articolo di sintesi su La dottrina dell'Essere da Parmenide ad Aristotele.]

L'età medievale e rinascimentale, e così anche il razionalismo e l'empirismo moderni, non fanno altro che riprendere questa base speculativa, arricchendola di sfumature, facendovi irrompere l'innovazione della concezione giudaico-cristiana. Il dio giudaico-cristiano si pone come l'Essere (Ego sum qui sum... antequam Abraham, Moyses... fuissent, Ego sum) per eccellenza. Il mondo viene fatto emergere in limine [= «sulla soglia»] dal nulla, e rispetto all'Essere, è un derivato non necessario, frutto di libertà creativa. Il rapporto fra Essere ed esistente (ciò che ex-sistit, che ha una sua stabilità in virtù d'altro) diviene nella sostanza intematizzabile, se non attraverso una sorta di analogia entis, che si limita a dire che gli esistenti partecipano predicativamente (sono logicamente ascrivibili a una serie di categorie), che appartengono all'Essere quidditativamente (che sono l'Essere stesso: vedi la bontà, l'unità strutturale, la verità).

Il rapporto problematico fra essere dell'Essere (o del fondamento) ed essere degli esistenti viene ulteriormente scavato da filosofi successivi. L'età moderna sposta il problema filosofico su una dimensione soggettiva: la rivoluzione cominciata con Cartesio e finita con Kant sembra mettere in sordina il concetto di essere, nei suoi momenti di frattura. Le sistemazioni successive a questi momenti di frattura, le grandi costruzioni metafisiche di Leibniz e Spinoza dopo Cartesio, e ancor più l'idealismo dopo Kant, ridefiniscono la questione. La terna dialettica che apre il farsi del logos hegeliano (essere-non essere-divenire) sposta l'accento sulla strutturalità del divenire, essendo l'essere, sul piano logico-ontologico, una tesi rigida e remota dalla ricchezza finale del concreto nel suo pieno sviluppo.

Infine, le grandi ontologie novecentesche dei fenomenologi come Nicolai Hartmann, che si pone il compito di riarticolare le categorie dell'ontologia tradizionale in una nuova sintesi; e da ultimo, una serie di esperienze filosofiche ancora più sorprendenti l'ontologia esistenzialista di Heidegger, che parte dalla tematizzazione della ricerca del senso dell'essere, mediante l'interrogare l'esserci dell'uomo e la sua angoscia esistenziale, per approdare a un'idea dell'esistenza in cui l'esserci è totalmente determinato dalle circostanze dell'essere, che poi è lasciato ai suoi erramenti, alla sua erranza sostanziale.

E tutto sembra apparentemente concludersi con l'essere depotenziato, poroso e abbandonato alla sua deriva destinale, che è alla base del pensiero debole, che incrocia l'erranza dell'ultimo Heidegger con il nichilismo irrazionalistico di Nietzsche.

Per quanto, a me il pensiero debole e il suo essere depotenziato non garbino molto. Bisogna tenere sempre per assodato che le strutture semiologiche del linguaggio e l'orientazione nel mondo evolutivamente determinata dell'uomo sono imperniate sull'idea di una presenza forte, ancorché lacerata, dell'essere.

Edited by Hamlet da Hamelin - 27/9/2006, 06:05
 
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15 replies since 2/8/2006, 19:41   2793 views
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