Trattiamo finalmente del racconto delle seppioline, e degli spunti didattici che offre.(Preavviso che per rispondere ai quesiti di Sedaris sulla punteggiatura ecc. scriverò poi qualche intervento a parte; si son fatte, ahi, quasi le 7 e mezza del mattino e sono stanco; per adesso mi fermo. Però non vi fermate, intanto, voi!)
Seppioline alla marinara.
1.
Nel complesso, è (se si esclude Anna, del che dirò piú avanti) un raccontino costruito bene,
– con
essenzialità e
completezza (non vi sono elementi in soprannumero, né ne mancano di necessari);
– con
misura (è lungo quanto, in base ad argomento e stile scelti, “deve”; e si dettaglia quando il dettaglio ha senso {quando non ne ha, lavora di piú largo pennello}:
«i piccoli molluschi seguivano gli impercettibili moti lenti dell’acqua e ondeggiavano e compivano traiettorie anche a liquido apparentemente fermo»);
– con
efficace disposizione (gli elementi si succedono con naturalezza e il lettore ha agio di ricomporne nella sua testa un quadro armonioso, senza intoppi né imponderate contorsioni).
2.
Si noti l’ottimo incipit:
«Sorrideremo (forse) dei 750 grammi di seppie piccole che avevo acquistato nel fornitissimo mercato del pesce che si tiene ogni giorno a Napoli». In questi pochi semplici tratti, l’allievo
– dichiara per prima cosa l’atmosfera del brano, la quale sarà un mélange di sorriso e riflessione:
«Sorrideremo (forse)»;
– colloca spazialmente e temporalmente l’evento: Napoli, un giorno qualunque;
– fa sí che il lettore escluda con buona probabilità che il personaggio narrante possa essere la duchessa di Windsor;
– introduce nitidamente l’oggetto materiale della fabula (la natura del quale, nel contempo, segnala al lettore il genere cui è ascrivibile il testo: minimalista):
«750 grammi di seppie piccole» (si noti che qui la grafia «750» va bene, perché «settecentocinquanta» sarebbe incongruo {la sua “grandiosità” stonerebbe con la piccolezza delle seppie}, mentre piú avanti è meglio correggere
«3 giorni» in «tre giorni»).
Insomma, il racconto delle seppioline (che oltre a essere minimalista è – precisiamo – didascalico, visto che lo conclude una morale:
«Mi riduco sempre alla pattumiera quando, per un motivo qualunque, decido di fidarmi di quello che leggo o che dicono gli altri invece di ascoltare semplicemente il mio naso») è una valida rappresentazione.
3.
Ma il suo stile non è molto “ricercato”: si limita a fornire (appunto) una
rappresentazione dell’evento, peraltro con buona scorrevolezza, senza però (appunto)
ricercare con sufficiente impegno soluzioni espressive tali da conferire al testo una personalità inconfondibile.
Cosí com’è, cioè, questo campione di scrittura appartiene stilisticamente – in buona parte – alla sfera del realismo di massa.
Dal quale semimorto planetoide, però, mi sembra già disposto a saltar via, il nostro buon letteronauta, verso le vive e palpitanti stelle. Ecco qualche esempio di sintagma al tempo stesso pertinente e non-banale:
–
«disimpigliava» (verbo relativamente raro);
–
«vendetta biologica» (accostamento rarissimo {vedi in Google});
–
«era illegittimo trarre da quest’abitudine del suo amico una conclusione di natura generale» (incursione in un campo semantico specialistico, in questo caso quello della logica).
Analoga all’ultimo esempio soprastante è la frase
«A volte la testa di un ragazzo, in momenti critici, pensa in rapida successione una serie di cose, anche stupide, e le elabora in un millisecondo fornendo un esito assurdo»; ma, benché formalmente ben costruita, quanto a senso e tono può apparire un po’ meno felice di quell’altra, perché tende allo gnomico senza giustificare il perché la testa di un ragazzo dovrebbe necessariamente produrre risultati piú assurdi che non la testa di un cosiddetto adulto.
4.
Ecco ora qualche esempio di luogo comune che è meglio evitare:
–
«trama di strade»;
–
«Fui tratto in inganno»;
–
«stimato» (riferito a «scoglio napoletano»).
5.
Piccoli errori e improprietà grammaticali:
–
«decretare come odore», al posto di «decretare essere odore» o «classificare come odore» e simili;
–
«astuzia […] che le seppie e i calamari, morti da qualche tempo, sono anche più saporiti», dove forse al posto di «astuzia» (che non regge perfettamente il «che») dovrebbe figurare un sinonimo di «suggerimento» o qualcosa d'analogo;
–
«nè lui e neppure io»: eviterei questa sequenza inquietante, dato che «né» vale «e non» e dunque «e né» non può darsi, mentre invece è semitollerabile un «e neppure»; ma «né» e «neppure», messi uno vicino all’altro, ci possono condurre alla follia, per l’improponibilità pratica di un – benché in teoria sia valido – «né lui neppure io»; meglio insomma un «né lui né io» (e lasciamo stare l’errore grafico «nè» per «né»: ti sarà scappato un tasto).
Più accettabili, anche se sospette d’essere soluzioni frettolose piú che non picchi poetici, cose come
«seminavano un odore».
6.
Altro “peccato veniale” è stato l’usare
«deceduti» al solo scopo di non ripetere «morti» nella stessa frase (analogo il caso di
«incastratesi» per non dire «impigliatesi» – ma nelle reti non ci si incastra, non sono grate di legno); è una soluzione semimeccanica; e dalla meccanica bisogna ben guardarsi.
Inoltre «deceduti», associato a degli animaletti, genera un effetto lievemente comico che non riesce gradevole, ma piuttosto un po’ fastidioso in quanto trito (non credo dia fastidio, invece, il
«prezioso tanfo»).
Una soluzione qui può essere, dunque: «le seppie e i calamari, morti da qualche tempo, sono anche più saporiti e teneri di quelli morti di fresco», senza preoccuparsi della ripetizione di «morti», che sotto il naso del lettore dovrebbe passare inosservata.
Non è detto però che una ripetizione non possa risultare essa stessa fastidiosa. Come nel caso seguente; dove non si tratta della ripetizione di una parola identica, ma della ripetizione dell’operazione di suffissazione diminuitiva:
«cadaverini», «animaletti», «seppioline» ammucchiati in un unico paragrafo (e il successivo inizia con un nuovo
«animaletti» e prosegue dopo un po’ con
«fantasmini»!).
7.
Cambiamo ora discorso tornando da quello sullo stile a quello sulla forma, e in ispecifico a discutere l’unico vero errore formale: l’apparizione (e immediata sparizione) di Anna:
«[…] chiamammo fantasmini, perchè, come notava Anna […]».
Si tratta di una sorpresa che può disorientare per un istante il lettore (il quale, appena legge «chiamammo», pensa probabilmente al narratore piú il
nonno), e che a conti fatti risulta perfettamente inutile all’economia del racconto delle seppioline; è uno spreco introdurre un personaggio en passant e poi non nominarlo piú, lasciandolo nell’ombra piú buia a fare la comparsa scomparsa.
Se il racconto in esame è autobiografico, è comprensibile che l’allievo abbia voluto, per scrupolo di completezza, segnalare la presenza, in quel contesto, di quella persona; ma praticamente nulla ci ha detto di essa: è un’amica, una coinquilina? è la fidanzata in visita? la domestica? la sorella? un trans? un fantasma?
Quindi: o quel personaggio lo si rende piú vivo (purché la sua vita sia pienamente giustificata, e non strumentale a omaggiare la vera Anna e basta), o lo si elimina.
Non è necessario che una narrazione autobiografica contenga (conformemente o isomorficamente che sia) la totalità degli elementi dell’evento reale il quale essa è chiamata a rappresentare: la letteratura non è la “fototessera in parole” del mondo, ma una sua interpretazione critica.
Edited by Hamlet da Hamelin - 20/10/2006, 01:10