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[Seppioline], racconto

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sedaris
view post Posted on 4/10/2006, 05:52




Approfitto di questo spazio :-)
Mi piacerebbe sapere come si costruisce un piccolo racconto di stile moderno, come si usa la punteggiatura, la spaziatura e il rimando a capo per aggiungere un pò di realismo senza cadere nell'errore di interpunzione. Mi piacerebbe che si facesse riferimento a questo piccolo brano perchè mi son chiari struttura e senso, visto che l'ho scritto io qualche anno fa. Non l'ho rivisto molto prima di copincollarlo quindi perdonate eventuali disastri grammaticali logici di sintassi consecutio temporum e quant'altro :-) Mi piacerebbe ascoltare cosa va bene e cosa no, cosa funziona e cosa non funziona.

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Sorrideremo (forse) dei 750 grammi di seppie piccole che avevo acquistato nel fornitissimo mercato del pesce che si tiene ogni giorno a Napoli nella trama di strade compresa tra la stazione della Circumvesuviana e l'arco di porta Capuana.
Le seppioline non erano freschissime, seminavano un odore un pò forte che tuttavia non mi ero sentito di decretare come odore di cadavere vecchio di 3 giorni invece di odore di stimato scoglio napoletano.
Fui tratto in inganno anche da una specie di astuzia che mio nonno aveva voluto regalarmi tempo addietro ossia che le seppie e i calamari, morti da qualche tempo, sono anche più saporiti e teneri di quelli deceduti di fresco. Riferiva che un suo compagno di pesca, quando da giovani tiravano su le reti in barca, disimpigliava le seppie incasratesi visibilmente diversi giorni prima e le mangiava crude all'istante, dicendo tralaltro di preferirle a quelle vive.
Anche mio nonno ammetteva che era illegittimo trarre da quest'abitudine del suo amico una conclusione di natura generale su quali seppie scegliere, ma mi assicurava che aveva sentito la stessa versione anche da altri pescatori professionisti sulla cui competenza nè lui e neppure io avremmo dovuto dubitare.
Io gli credetti e, quando si presentò l’occasione di decidere, ricordai la storia del pescatore divoratore seduta stante di seppie e calamari ben avviati alla decomposizione e acquistai le seppie così com'erano, assieme al loro prezioso tanfo.

Nonostante l’odore che montava sempre di più e che aveva riempito l’auto durante il breve trasporto dal mercato a casa, le seppioline non finirono nella pattumiera per colpa della mia fiducia nel potere purificante del risciacquo ripetuto.
Dopo il sesto lavaggio sotto l'acqua corrente, oramai sfinito, decido di lasciare in ammollo i cadaverini in una scodella con acqua tiepida, sperando in un aiuto anche dall’osmosi che -promessa della chimica- avrebbe dovuto favorire il passaggio dell’acqua pulita nei tessuti morti degli animaletti e, in senso opposto, lo scarico in acqua di ciò che si trovava concentrato nelle seppioline.
Animaletti diafani e delicati che chiamammo fantasmini, perchè, come notava Anna, leggerissimi e quasi immateriali, con i due tentacoli più grandi appiccicosi, i piccoli molluschi seguivano gli impercettibili moti lenti dell'acqua e ondeggiavano e compivano traettorie anche a liquido apparentemente fermo.
Dopo 15 minuti torno al lavello e immergo la mano nella scodella per raccoglierne una manciata e cominciare l'ennesimo risciacquo. Stavolta però alzo il braccio con fatica e quasi mi viene un colpo. Sollevo dall'acqua una colonna bianca, pesante e compatta, organizzatissima e dal design intelligente. Le seppioline, lasciate libere di 'muoversi' , si erano aggregate tentacolo-tentacolo formando un unico corpo cilindrico.
A volte la testa di un ragazzo, in momenti critici, pensa in rapida successione una serie di cose, anche stupide, e le elabora in un millisecondo fornendo un esito assurdo. Anche la mia lo fece. Ammetto che per diversi secondi ho pensato che le seppioline fossero davvero possedute ancora da qualche forma di vita e si fossero coalizzate contro di me. Che quel cilindro di ordinatissimi invertebrati avesse adottato, nel mio lavandino, la stessa tecnica che altri animali adoperano in mare: compattarsi in formazioni giganti per sopravvivere in qualche modo al nemico.
In natura si aggregano in ammassi solo per spaventare i pesci grossi o per ridurre matematicamente la possibilità di essere mangiati, io invece ho realmente temuto che si fossero date l'un l'altra la mano per danneggiarmi, per sferrare finalmente l'attacco a me che non le lasciavo in pace da ben sette risciacqui.

Dopo averle districate e separate alla meglio, scolate e soffocate nella panatura, le calo nell’olio bollente che spero ammazzi termicamente almeno metà dell’odore. Pronta però la loro vendetta biologica finale: una scarica ancora più terrificante di puzzo, prodotta dalla cottura e da una qualche reazione con l'olio di semi, un odore nauseante spedito in tutta la stanza dalla corrente d’aria calda che saliva dall'enorme padella per la frittura e poi in tutta la casa dalle ventole della cappa i cui filtri risultavano evidentemente impotenti.
Solo adesso, cotte alla perfezione, praticamente pronte da mangiare, vengono precipitate nell'immondizia. Una guerra persa in partenza però combattuta fino alla fine. Mi riduco sempre alla pattumiera quando, per un motivo qualunque, decido di fidarmi di quello che leggo o che dicono gli altri invece di ascoltare semplicemente il mio naso.


.

Edited by sedaris - 4/10/2006, 08:39
 
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view post Posted on 5/10/2006, 22:58
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:) Bene, bene! :unsure: Ahi, prima di domenica
non avrò tempo ed energia bastante
a commentare qui come si deve;
^_^ intanto ti ringrazio per codesta
prima contribuzione letteraria.
 
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view post Posted on 16/10/2006, 06:22
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Trattiamo finalmente del racconto delle seppioline, e degli spunti didattici che offre.

(Preavviso che per rispondere ai quesiti di Sedaris sulla punteggiatura ecc. scriverò poi qualche intervento a parte; si son fatte, ahi, quasi le 7 e mezza del mattino e sono stanco; per adesso mi fermo. Però non vi fermate, intanto, voi!)


image
Seppioline alla marinara.

:) 1.

Nel complesso, è (se si esclude Anna, del che dirò piú avanti) un raccontino costruito bene,

– con essenzialità e completezza (non vi sono elementi in soprannumero, né ne mancano di necessari);

– con misura (è lungo quanto, in base ad argomento e stile scelti, “deve”; e si dettaglia quando il dettaglio ha senso {quando non ne ha, lavora di piú largo pennello}: «i piccoli molluschi seguivano gli impercettibili moti lenti dell’acqua e ondeggiavano e compivano traiettorie anche a liquido apparentemente fermo»);

– con efficace disposizione (gli elementi si succedono con naturalezza e il lettore ha agio di ricomporne nella sua testa un quadro armonioso, senza intoppi né imponderate contorsioni).


:) 2.

Si noti l’ottimo incipit: «Sorrideremo (forse) dei 750 grammi di seppie piccole che avevo acquistato nel fornitissimo mercato del pesce che si tiene ogni giorno a Napoli». In questi pochi semplici tratti, l’allievo

– dichiara per prima cosa l’atmosfera del brano, la quale sarà un mélange di sorriso e riflessione: «Sorrideremo (forse)»;

– colloca spazialmente e temporalmente l’evento: Napoli, un giorno qualunque;

– fa sí che il lettore escluda con buona probabilità che il personaggio narrante possa essere la duchessa di Windsor;

– introduce nitidamente l’oggetto materiale della fabula (la natura del quale, nel contempo, segnala al lettore il genere cui è ascrivibile il testo: minimalista): «750 grammi di seppie piccole» (si noti che qui la grafia «750» va bene, perché «settecentocinquanta» sarebbe incongruo {la sua “grandiosità” stonerebbe con la piccolezza delle seppie}, mentre piú avanti è meglio correggere «3 giorni» in «tre giorni»).

Insomma, il racconto delle seppioline (che oltre a essere minimalista è – precisiamo – didascalico, visto che lo conclude una morale: «Mi riduco sempre alla pattumiera quando, per un motivo qualunque, decido di fidarmi di quello che leggo o che dicono gli altri invece di ascoltare semplicemente il mio naso») è una valida rappresentazione.


:rolleyes: 3.

Ma il suo stile non è molto “ricercato”: si limita a fornire (appunto) una rappresentazione dell’evento, peraltro con buona scorrevolezza, senza però (appunto) ricercare con sufficiente impegno soluzioni espressive tali da conferire al testo una personalità inconfondibile.

Cosí com’è, cioè, questo campione di scrittura appartiene stilisticamente – in buona parte – alla sfera del realismo di massa.

Dal quale semimorto planetoide, però, mi sembra già disposto a saltar via, il nostro buon letteronauta, verso le vive e palpitanti stelle. Ecco qualche esempio di sintagma al tempo stesso pertinente e non-banale:

«disimpigliava» (verbo relativamente raro);

«vendetta biologica» (accostamento rarissimo {vedi in Google});

«era illegittimo trarre da quest’abitudine del suo amico una conclusione di natura generale» (incursione in un campo semantico specialistico, in questo caso quello della logica).

Analoga all’ultimo esempio soprastante è la frase «A volte la testa di un ragazzo, in momenti critici, pensa in rapida successione una serie di cose, anche stupide, e le elabora in un millisecondo fornendo un esito assurdo»; ma, benché formalmente ben costruita, quanto a senso e tono può apparire un po’ meno felice di quell’altra, perché tende allo gnomico senza giustificare il perché la testa di un ragazzo dovrebbe necessariamente produrre risultati piú assurdi che non la testa di un cosiddetto adulto.


:sick: 4.

Ecco ora qualche esempio di luogo comune che è meglio evitare:

«trama di strade»;

«Fui tratto in inganno»;

«stimato» (riferito a «scoglio napoletano»).


:cry: 5.

Piccoli errori e improprietà grammaticali:

«decretare come odore», al posto di «decretare essere odore» o «classificare come odore» e simili;

«astuzia […] che le seppie e i calamari, morti da qualche tempo, sono anche più saporiti», dove forse al posto di «astuzia» (che non regge perfettamente il «che») dovrebbe figurare un sinonimo di «suggerimento» o qualcosa d'analogo;

«nè lui e neppure io»: eviterei questa sequenza inquietante, dato che «né» vale «e non» e dunque «e né» non può darsi, mentre invece è semitollerabile un «e neppure»; ma «né» e «neppure», messi uno vicino all’altro, ci possono condurre alla follia, per l’improponibilità pratica di un – benché in teoria sia valido – «né lui neppure io»; meglio insomma un «né lui né io» (e lasciamo stare l’errore grafico «nè» per «né»: ti sarà scappato un tasto).

Più accettabili, anche se sospette d’essere soluzioni frettolose piú che non picchi poetici, cose come «seminavano un odore».


-_- 6.

Altro “peccato veniale” è stato l’usare «deceduti» al solo scopo di non ripetere «morti» nella stessa frase (analogo il caso di «incastratesi» per non dire «impigliatesi» – ma nelle reti non ci si incastra, non sono grate di legno); è una soluzione semimeccanica; e dalla meccanica bisogna ben guardarsi.

Inoltre «deceduti», associato a degli animaletti, genera un effetto lievemente comico che non riesce gradevole, ma piuttosto un po’ fastidioso in quanto trito (non credo dia fastidio, invece, il «prezioso tanfo»).

Una soluzione qui può essere, dunque: «le seppie e i calamari, morti da qualche tempo, sono anche più saporiti e teneri di quelli morti di fresco», senza preoccuparsi della ripetizione di «morti», che sotto il naso del lettore dovrebbe passare inosservata.

Non è detto però che una ripetizione non possa risultare essa stessa fastidiosa. Come nel caso seguente; dove non si tratta della ripetizione di una parola identica, ma della ripetizione dell’operazione di suffissazione diminuitiva: «cadaverini», «animaletti», «seppioline» ammucchiati in un unico paragrafo (e il successivo inizia con un nuovo «animaletti» e prosegue dopo un po’ con «fantasmini»!).


:unsure: 7.

Cambiamo ora discorso tornando da quello sullo stile a quello sulla forma, e in ispecifico a discutere l’unico vero errore formale: l’apparizione (e immediata sparizione) di Anna:

«[…] chiamammo fantasmini, perchè, come notava Anna […]».

Si tratta di una sorpresa che può disorientare per un istante il lettore (il quale, appena legge «chiamammo», pensa probabilmente al narratore piú il nonno), e che a conti fatti risulta perfettamente inutile all’economia del racconto delle seppioline; è uno spreco introdurre un personaggio en passant e poi non nominarlo piú, lasciandolo nell’ombra piú buia a fare la comparsa scomparsa.

Se il racconto in esame è autobiografico, è comprensibile che l’allievo abbia voluto, per scrupolo di completezza, segnalare la presenza, in quel contesto, di quella persona; ma praticamente nulla ci ha detto di essa: è un’amica, una coinquilina? è la fidanzata in visita? la domestica? la sorella? un trans? un fantasma?

Quindi: o quel personaggio lo si rende piú vivo (purché la sua vita sia pienamente giustificata, e non strumentale a omaggiare la vera Anna e basta), o lo si elimina.

Non è necessario che una narrazione autobiografica contenga (conformemente o isomorficamente che sia) la totalità degli elementi dell’evento reale il quale essa è chiamata a rappresentare: la letteratura non è la “fototessera in parole” del mondo, ma una sua interpretazione critica.

Edited by Hamlet da Hamelin - 20/10/2006, 01:10
 
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devolaurearmi
view post Posted on 19/10/2006, 21:04




Soggetto di scrittura interessante. Ma in bilico tra il comico e l'inquietante. Forse avresti dovuto approfondire uno di questi due toni. Magari il primo, funziona sempre il racconto brillante. Però in tal caso avresti dovuto sveltire i periodi, un po' troppo sovraccarichi, ogni periodo contiene troppi aggettivi.
Nulla da ridire su quell' "astuzia" che hamlet ti sottolinea, la lascerei, lo regge tranquillamente il che. E poi renderei più brevi i periodi. Meno ipotassi. E' questo che rende un racconto "brillante".
 
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view post Posted on 19/10/2006, 23:05
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:) Ringrazio la signorina Devolaurearmi per aver offerto nuovi spunti a questa discussione. Ne ricavo sùbito otto interrogativi, da rivolgere sia all'autore del racconto delle seppioline, Sedaris, sia a tutto il gentil pubblico leggente.

CITAZIONE (devolaurearmi @ 19/10/2006, 22:04)
Soggetto di scrittura interessante. Ma in bilico tra il comico e l'inquietante. Forse avresti dovuto approfondire uno di questi due toni.

(1) Il fatto che il racconto si trovi «in bilico» tra due diversi generi è davvero un «Ma»? cioè, questa (per così dire) ambigua miscela, dà fastidio? E dunque, servirebbe davvero a migliorare il racconto un orientamento più deciso verso uno dei due generi, oppure no?

(2) E questo principio sarebbe valido per qualsiasi altro racconto analogo? Ci sarebbe da riflettere, forse, su certi racconti di Tommaso Landolfi, per esempio, dove il comico e l'inquietante si combinano con sapiente equilibrio. Se ammettiamo che in Landolfi la contaminazione di un genere con l'altro funziona, domandiamoci: nel racconto delle seppioline, invece, questa procedura malfunziona? e perché? Cosa c'è di zavorrante, o di mancante, che impedisce che i due "metalli" formino una solida "lega"?

CITAZIONE
funziona sempre il racconto brillante.

(3) E' proprio vero che il racconto «brillante» (parlando di «commedia brillante») «funziona sempre»? E se è vero, lo è in che senso? forse nel senso che chiunque - più o meno - sarebbe in grado di scrivere un racconto comico? Il comico è un genere per affrontare il quale non occorre possedere particolare "bravura" (tanto il pubblico ugualmente gradirà)? O...?

(4) E se ciò fosse vero, allora è meglio "appiattirsi" sul comico, per la sua facilità di fattura, o è meglio rimboccarsi le maniche e provare a migliorare il proprio stile volgendolo verso altre direzioni?

(5) Con le domande 3 e 4 abbiamo forse fatto confusione tra cose piuttosto diverse: si rifletta sul fatto che il Chisciotte di Cervantes è comico, ed è uno dei più alti capolavori della letteratura mondiale, ma sono "comici" anche certi sketch cabarettistico-televisivi che potremmo serenamente classificare "spazzatura". Domandiamoci ora: il pubblico che ride leggendo Cervantes è lo stesso pubblico che ride davanti al trash della tv?

(6) Nello scrivere un racconto, è meglio cercare di piacere a tutti o di entrare in comunicazione con le persone di sensibilità e cultura affini alle nostre sensibilità e cultura personali?

(7) Se è più importante piacere a tutti, il miglior genere trattabile risulta essere la pornografia. O quale?

CITAZIONE
Però in tal caso avresti dovuto sveltire i periodi, un po' troppo sovraccarichi, ogni periodo contiene troppi aggettivi. [...] più brevi [...]. Meno ipotassi. E' questo che rende un racconto "brillante".

(8) Per rendere «"brillante"» un racconto bisogna davvero utilizzare periodi brevi e svelti?

Edited by Hamlet da Hamelin - 20/10/2006, 01:07
 
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devolaurearmi
view post Posted on 22/10/2006, 13:37




La "Brillantezza" di un racconto purtroppo è un dono che a mio parere nasce con lo scrittore. In altre parole, non si diventa scrittori brillanti, ma lo si è o no. E' un dono innato, un certo modo di scrivere che non si apprende, ma si scopre di averlo. Perchè chi riesce a scrivere brillantemente è chi pensa brillantemente.
Tengo a precisare qualcosa che nel mio scorso intervento davo forse scioccamente per scontato. Il mio brillante non è una mera comicità da squallido schermo o da pseudo calciatori barzellettieri e simili. E' uno stile che ha una storia. Da Sterne a Swift, se vogliamo, a Dostoevskij col suo brillantissimo "giocatore" o anche Svevo con la sua "Coscienza". O anche il caro Bach, zingaro dei cieli, o l'ottocentesco originalissimo Jerome con "Tre uomini in barca", la strepitosa Kinsella. E' un modo unico che questi maestri della carta stampata hanno di dare del tu alla penna. E alla vita. Un umorismo sottile e geniale, che come insegnava quel buon vecchio del Pirandello poco o nulla ha a che vedere con la mera ironia o il banale comico.
Sono un'attrice, e da dieci anni giro i palcoscenici d'Italia. Grandi maestri m'hanno sempre insegnato che la comicità è un fatto di tempi. E' matematica. Tu puoi dire una semplice battuta tutta d'un fiato, e non fa ridere. se ci metti una pausa a un preciso stacco, scatta l'appaluso e un fragoroso scroscio di risate.
L'umorismo è altro. E' un modo di aprire orizzonti, di dischiudere inaudite visioni della realtà. Fa riflettere più d'un lungo periodare da sermone descrittivo- riflessivo che voglia condurre per mano un lettore in qualche intrigo.
E non fa necessariamente ridere. Può addirittura inquietare, o destar paura. dunque mescolanza di generi si, ma la brillantezza dello stile è la base, il fondo, il modo in cui le parole fluiscono dalla penna.
Anni fa mi ritrovai, letteralmente perchè mi ritrovai alla premiazione per caso, vinsi un concorso letterario di racconti gialli. Ci fu una gran polemica. non c'erano morti ammazzati, nel mio racconto. nè assassini, nè detective, nè indagati. solo una "stupida ragazzina impazzita".
Fu Carlo Lucarelli, grande giallista italiano di fama internazioanle, a decretare che racconti brillanti così se ne vedevano pochi, per stile, efficacia persuasiva, capacità di tener lì incollati i lettori, effetto sorpresa. Era un giallo perfetto a suo dire. la trama era puramente uno spunto. Il segreto stava nel modo in cui l'avevo detto.
Con questo non dirò certo che la trama non ha importanza, ci mancherebbe, ma la verve è quasi tutto. E puntualizzo su verve. Non è comicitò, riso, ma brillantezza, carica, ritmo, fluidità, o chiamatela come volete, ma state certi che sia quel che sia, è qualcosa per cui non puoi fare a meno di arrivare alla fine dell'ultimo rigo di un racconto. o di un libro.
Ovviamente questa è la mia modesta opinione, un semplice consiglio che francamente spero proprio nessuno segua, l'esclusività non dispiace a nessuno, sapete, come si dice...meglio essere in pochi!
E poi ciascuno a suo modo, tutti i gusti sono gusti, quel che piace a te non è detto che piaccia a me, si stava meglio quando si stava peggio, non esiste più la mezza stagione,passami il sale....
 
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view post Posted on 22/10/2006, 16:50
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CITAZIONE (devolaurearmi @ 22/10/2006, 14:37)
Sono un'attrice, e da dieci anni giro i palcoscenici d'Italia.

:blink: Ma allora non sei una studentella!

CITAZIONE
L'umorismo [...] Fa riflettere più d'un lungo periodare

:shifty: Mmm, però anche un lungo periodare può essere umoristico...

CITAZIONE
vinsi un concorso letterario di racconti gialli.

:) Il Premio Gran Giallo Città di Cattolica? e il racconto poi fu pubblicato? ce lo puoi far leggere qui?

CITAZIONE
non dirò certo che la trama non ha importanza, ci mancherebbe, ma la verve è quasi tutto.

-_- In effetti talvolta la trama non ha quasi nessuna importanza: in alta letteratura non importa tanto cosa si narra, quanto come.
 
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tristanotradito
view post Posted on 23/10/2006, 18:55




CITAZIONE (devolaurearmi @ 19/10/2006, 22:04)
Meno ipotassi. E' questo che rende un racconto "brillante".

Per quanto tu non abbia fornito una definizione positiva di brillante, se ti comprendo non ho difficoltà a dire che la prosa di Proust è brillante, eppure è tra le esperienze d'ipotassi più poderose dell'ultimo secolo.
La paratassi in quanto tale non fa altro che permettere una mimesi più immediata della conversazione realistica, mentre l'ipotassi comporta la mediazione dell'istituto linguistico nella sua sostanza logico-relazionale ed extrareferenziale. Grazie ad essa, quando governata, è possibile sintetizzare una gran mole di pensiero intorno ad un centro logico-semantico-espressivo; laddove la paratassi implicherebbe o il sacrificio di materiale o la ripresa con ripetizioni più o meno parziali.

Se il pensiero è ricco di sostanza e di volute, e brilla, può essere a profitto informato in una compassata ipotassi. Se invece il pensiero si dà meglio in sintesi rapide e sapide, e brillanti, meglio ritmarlo in strutture nette e giustapposte.
 
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devolaurearmi
view post Posted on 24/10/2006, 18:18




Non direi proprio di non aver dato una definizione di "brillantezza" in positivo. Forse non hai letto tutto il mio intervento.
A parte questo, mi perdonerai se non ho afferrato il senso di quello che hai detto. Hai concluso il tuo intervento con una chiara e scontata affermazione da libro di sintassi, e alla fine mi sono chiesta : e allora?

Comunque si Hamlet, il racconto me lo pubblicarono in volume e riviste. A dire il vero ne presentai due, uno lo avevo composto proprio per quel concorso, era anche un modo per cimentarmi in un genere nuovo,anzi nuovissimo per me che non avevo rapporto alcuno con il noir. E così, 39 di febbre e giù a scrivere con le allucinazioni. Ne venne fuori un curioso racconto allucinato. Che non vinse, ma a qualcuno interessò e adesso si trova in una raccolta di narrativa per le scuole medie pubblicata da Simone editore. A vincere fu un racconto che avevo nel diario e che avevo scritto a quindici anni. Non lo presentai io, ma un prof assolutamente fuori dal comune che lo aveva avuto in consegna da me, per un giornale, tempo prima. Diceva che era uno splendido thriller. Io dicevo che era matto. Ma lui ebbe ragione.
 
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view post Posted on 24/10/2006, 23:27
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CITAZIONE (devolaurearmi @ 24/10/2006, 19:18)
un curioso racconto allucinato. Che non vinse, ma a qualcuno interessò e adesso si trova in una raccolta di narrativa per le scuole medie pubblicata da Simone editore. A vincere fu un racconto che avevo nel diario e che avevo scritto a quindici anni.

Ma dunque facci leggere questo racconto scritto a quindici anni, ti prego, ormai la curiosità è alle stelle!

Quanto alla Simone, che combinazione, l'unica altra mia pubblicazione oltre le Prove è un libro pubblicato dal gruppo editoriale Simone: cliccare per sapere: image

E l'antologia simonesca in cui è quell'altro tuo racconto, come s'intitola?

Edited by Hamlet da Hamelin - 25/10/2006, 03:36
 
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