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Recensioni a Prove tecniche di romanzo storico

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view post Posted on 28/4/2007, 22:29
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:) Nella finestrella scorrevole del forum, finora, il link circa l'ultima recensione al libro menava direttamente alla pagina di Nazione Indiana www.nazioneindiana.com/2006/09/18/furlen-vs-palasciano-e-viceversa. La recensione di Francesco Forlani diventa ora la penultima, mentre l'ultima eccola, è quella di Gianluca Gigliozzi (l'autore di Neuropa), uscita a marzo 2007 sul prestigioso bimestrale di letteratura «L'Immaginazione», ed. Manni, annata XXII, n. 228:


I Borboni non finiscono mai

Dal sintagma d’avvio (“Un carnevale”) a quello finale (“Per Gioco”) in Prove tecniche di romanzo storico di Marco Palasciano (Lavieri, 2006) il romanzo storico com’è tradizionalmente inteso è esposto al ludico ludibrio: con ironia travolgente questo testo mina alle basi il genere e la logica dello spettacolo a cui esso è conforme.

La rappresentazione si concentra sugli anni 1799-1815 tra Napoli e Capua, dalla rivoluzione partenopea al ritorno dei Borboni, ma non saccheggia la storiografia per sfruttarne gli oggetti opportunamente stabilizzati, piuttosto ripercorre, di questa scienza troppo umana, le modalità espositive, l’impersonalità saccente, le strutture come le storture. Lo afferma l’autore-narratore, in un passaggio cruciale del racconto, che ne svolge il programma: “Ma io penso che qualunque cialtrone sia capace di andare a chiudersi in una civica e cimiteriale biblioteca e là studiarsi per il dritto e per il rovescio tutta la situazione borbonica e post-borbonica quando gli pare, se gli interessa, perciò sarebbe superfluo che io qui imbottissi la tractatio con didascalismi iperrealistici. Come dice Einstein, l’immaginazione è più importante della conoscenza” (p. 16).

L’immaginazione di Palasciano re-inventa il conosciuto e insinua, a forza di sberleffi, che ad aver fatto la Storia non siano tanto gli illustri risaputi, attori gloriosi, bensì dei personaggi defilati, smaniosi di visibilità o d’appoggi mondani, a cui gli eroi e le loro vicende sono finite in pasto. Nella finale “Nota per i critici neoborbonici” l’autore dichiara che il suo testo non è stato ideato per esporre “quello che fu, ma ciò che alcuni dicono che fosse” (p. 105). Tant’è vero che uno degli storici citati nel racconto, il Colletta, si scopre essere, al termine d’uno dei capitoli più spassosi, il generale Colletta (“Ecco come faceva ad avere tutte quelle informazioni di prima mano”, p. 29).

Ma i punti di vista degli storiografi, per quanto settari o venali, di solito si fondano su una sobrietà costitutiva: da loro il passato può essere interpretato, finanche snaturato, ma il loro resta sempre un lavoro su analoga, su nomi che designano costellazioni di fatti, rapporti e valori, non certo formule stregate atte a far risorgere la loro epoca per il diletto dei posteri, come avviene invece nelle operazioni romanzesche che mirano a ricostituire l’evento grandioso “dal basso”, ossia dal punto di vista di singolarità determinate, di destini travolti.

Queste operazioni, in nome dell’affabulazione, assicurano fette di passato a una confortevole figurazione, divorano casi nazionali e restituiscono miti analgesici, riproducendo così un simulacro di ciò che non è mai stato: uno Zeitgeist in maschera la cui immagine è vivificabile a colpi di teatro. Palasciano, rovesciando con violenza parodistica il genere, ne fa affiorare l’inganno, la regia occulta, la plastica; irride una maniera sclerotizzata, appunto borbonica, finendo così per rivelarne la postura estetizzante e a-storica, complice dello Spettacolo Totale.

È scaltro architetto della prosa, da neobarocco autentico, esperto di pieghe e tessiture: nel suo testo l’eccedenza verbale porta sempre un surplus di senso, non è compiacente turgore o indulgenza al melodioso. Effettua un doppio bilanciamento: sovraccarica la frase (stile immaginoso, metaforico) ma compone quadri contratti: raggruma, mai disperde (effetto di densità); il libello risulta così saturo ma scattante. La composizione è molto libera, ondivaga (ricorda modelli iberici: La corte dei miracoli di Ramon del Valle Inclàn, ma anche gli ultimi film di Buñuel).

Ogni quadro ha un punto di vista differente e una sua scena, in rapporto variabile con la serie di eventi; il rappresentato s’articola intorno alle dinamiche di personaggi molteplici, che brulicano da un capitolo all’altro alludendo al moto browniano che è di ogni presente: del presente che fu come di questo che è l’oggi. Solo in una sequenza (“I Pispigli delle Mermaidi”) il racconto si concentra più saldamente intorno a due attori (Murat e Carolina Bonaparte): è un sontuoso “largo” sinfonico, il momento “esistenziale” del racconto; il tono mesto di chi ben sa della propria disfatta imminente.

L’autore, con virtuosismo caustico, gioca ad assimilare codici non letterari (segnala tipi d’inquadrature o di colonne sonore: “Assolo di corni su tremolo di violoncelli” è l’attacco mahleriano del capitolo 4.3) non tanto perché il suo stile sia più performativo che prosastico, ma per far meglio trasparire ciò che il genere dissimula di sé: l’artefatto, la presunzione abissale.

E in chiusura, per giocarne ancora un’altra ai restauratori neoborbonici del romanzesco, Marco Palasciano aggancia la Capua di ieri a quella d’oggi: ritocca una genealogia della sua famiglia, innestata nel racconto a partire da una coppia di sposini, di cui lui, in attesa di diventare padre, è anche amante d’un ufficiale austriaco.

Nel capitolo finale,
SPOILER (click to view)
quest’ultimo, certo Markwald (che amò a Vienna nientemeno che Beethoven), forse per volersi sentire co-padre del nascituro figlio dell’amante capuano, abbozza una teoria genetica secondo cui lo Zauberfluidum, il fluido magico ricevuto dal Genio, potrà, grazie alla sua mediazione carnale, confluire nell’Ur-Palasciano e passare attraverso la sua discendenza, fino al Marco contemporaneo, forse così mantenendo nei secoli vivo il culto della beethoveniana variazione continua e dell’anima non ancora del tutto venduta allo spettacolo integrale.


Gianluca Gigliozzi

Edited by Hamlet da Hamelin - 16/9/2007, 13:36
 
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view post Posted on 28/4/2007, 22:57
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Lo stesso mese, su «La Rivista dei Libri» le Prove sono state citate en passant in un articolo (di cui riportiamo qui sotto un frammento) in cui Antonio Pane segnala varie recenti uscite d'alta letteratura.


Da Silete, silete media

Ci sono libri da pattini e libri da arrampicata. Mare Padanum e Santa Mira appartengono alla seconda categoria, ma non fanno rimpiangere l'impegno necessario per conquistarne la cima; e ripagano bene il coraggioso investimento dei rispettivi editori: il giovanissimo Lavieri, la cui "collana Arno" (coordinata da Domenico Pinto) ha già offerto, dopo un memorabile Dalla vita di un fauno di Arno Schmidt (recensito sul Corriere della Sera da Claudio Magris), Prove tecniche di romanzo storico, lusinghiero esordio di Marco Palasciano; e Le Lettere, che per "fuori formato" (serie diretta da Andrea Cortellessa e inaugurata da Circo dell'Ipocondria, di Franco Arminio) punta su «testi irriducibili a convenzioni di genere, impaginazione, stile». Libri inconsueti e "difficili", dunque, ma tutt'altro che oscuri, tutt'altro che tediosi; galvanizzati anzi da congegni umoristici ad alto voltaggio che, mentre ne garantiscono la godibilità, si rivelano fini strumenti di ascolto, stetoscopi applicati al torace del mondo. [...]
 
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view post Posted on 29/4/2007, 12:16
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Edited by Hamlet da Hamelin - 10/12/2009, 23:45
 
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Giancarlo Alfano, Un sogno murattiano che si svolge a Capua,
«Il Corriere del Mezzogiorno», 5 giugno 2007:
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Recensione di Mariano Acanfora

Barocco è il mondo, scriveva Gadda. E come fai a non pensare all'ingegnere milanese, quando Palasciano ti racconta di Murat che si masturba sotto una doccia protetta da anacronistiche tendine di plastica e te lo racconta in questi termini: "Sollecitato con idonei attriti incremento di atmosfere e di cubatura. All'esaltato cilindroide C la mano M1 resta coesa in avvolgimento. Il braccio B1 trasmette a M1 moto rettilineo alternativo a elevata frequenza"?

Ed è solo un momento di questo libro che assomiglia a un fuoco pirotecnico di invenzione e ricostruzione, tra storia vissuta (sono citati a più riprese il personaggio e le parole del Colletta, che fu testimone degli eventi) e storia rivissuta e contraffatta, contaminata dall'immaginario mediatico dell'autore (il principe di Cariati coi baffetti alla Rhett Butler, la madre di Carolina che pare Anna Magnani).

Prove tecniche, come recita il titolo. Abbozzi, provocazioni, tentativi di cucinare la fine del regno di Murat e la restaurazione della monarchia borbonica, buttando nel pentolone la storia con la "s" maiuscola, fatta di guerra e diplomazia, e la storia minuta, fatta di amori e amorazzi, sconfitte e debolezze. Il piatto è guarnito da una prosa colorita e ambiziosa e un'energia scanzonata e dissacrante, che invita a una lettura disordinata e divertita. Servito dall'editore capuano Lavieri, nella collana intitolata allo scrittore tedesco Arno Schmidt. Se siete stanchi della solita trippa.


Da www.librincircolo.it

Edited by Hamlet da Hamelin - 16/9/2007, 19:08
 
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Rosa Viscardi, Se la storia del Regno diventa un Carnevale, «La Repubblica», 6 maggio 2006: image
 
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