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L'intervista a M.P. su «Tangram»

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icon13  view post Posted on 13/9/2006, 18:05
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Riportiamo dal n. 14 di «Tangram», rivista di cultura ludica, un'intervista di Edgardo Bellini a Marco Palasciano.


Un romanzo caleidostorico

di Edgardo Bellini


Spettacolare, estroso, geniale; è impossibile trattenere l’eruzione creativa di Marco Palasciano, giovane scrittore capuano, in una griglia di aggettivi. Prove tecniche di romanzo storico, sua opera prima, trascina il lettore in un tango versicolore di registri e di stili senza il minimo timore di cambiar passo ad ogni nuovo capitolo. Palasciano “simula” il progetto d'un romanzo storico – e la finzione è un continuo gioco d'ingegno col lettore – sulla restaurazione borbonica nel Regno delle Due Sicilie a seguito del congresso di Vienna. Ma le fonti vengono manipolate con astuzia interpretativa («con l’immaginazione», direbbe candidamente l’autore) e la materia impastata di visione letteraria; si configurano così combinazioni narrative e stilistiche inaspettate, in un godibile oscillare tra stile “alto” e “basso”, tra citazione e recitazione, tra scherzo e sperimentazione.

Ho deciso d’incontrare l’autore per verificare se il personaggio coincide con la scrittura. Coincide: un vero homo ludens. Lo raggiungo nel suo studio mentre improvvisa un fugato al pianoforte.


Palasciano, un esordio fenomenale. Quanto ha lavorato su quest’opera?

Qualche settimana, nell'autunno del 1992.


Non scherziamo, però: il suo non è un romanzo, né tantomeno storico.

Più che romanzo, ne sono prove tecniche; è detto chiaro. Avevo da romanzare la vita di Ferdinando Palasciano (1815-1891) ma, prima di arrivare alla sua nascita, si è formato tanto di quel testo da costituire una trattazione a sé. La forma, quale si è venuta sviluppando in modo naturale, è quella di una sorta di eserciziario scenico-stilistico; ogni scena ha il suo stile. Quanto alla storicità, può forse venir messa in discussione dall’abbondante ricorso agli anacronismi, sempre però formali: la sostanza degli eventi storici è rispettata, e gli episodi fiabeschi e grotteschi vanno intesi come allegorie. Al contrario che in certi filmacci “storici” dove non si fa che travestire di costumi d’epoca atteggiamenti connaturati piuttosto al presente, a me è sembrato più sensato travestire d’una fenomenica moderna lo spirito degli eventi passati, per meglio cavarne il pathos.


E così Maria Letizia Bonaparte chiama Carolina da una cabina telefonica del porto.

Sì, nel 1992 non pensai a un cellulare. Naturalmente si deve immaginare non una cabina dei nostri giorni, ma una vecchiotta, dei tempi di Sherlock Holmes. Un simile metodo storiografico, ovviamente, conduce a rese comiche, ma il riso ha un retrogusto amaro, poiché ciò di cui più si ride è il vano agitarsi dell’uomo per ideali vani, come l’onore; più del quale, per me, vale l’oniro-, che nel libro genera squarci poetici, a equilibrare il comico di fondo.


Il gioco sembra la motivazione più forte della sua scrittura: almeno in questo testo, impregnato di ludus, cioè di gioco nell’accezione “alta”, letteraria.

Sì, qui il gioco esplode festoso e fastoso, ma più in generale la mia visione della letteratura è quella di uno strumento di conoscenza. La comicità (quanto al gioco parliamo qui soprattutto di “gioco comico”) può essere il primo gradino di questa scala della comprensione, necessario a svelare l’assurdo delle linee direttrici della storia e della socialità umana. L’ironia è, cioè, tendenzialmente socratica. Il fine ultimo è la conquista del vero, al quale si accede attraverso il poetico, che è complementare al ludico. Ironia + poesia = macchina svelatutto.


Lei ha un’abilità e un talento formidabili nel trasformare la parola. Frutto di straordinaria sensibilità linguistica, o è anche un giocatore di parole?

Ambedue le cose, modestamente! ;-) Sono esigentissimo per ciò che riguarda le questioni della lingua; detesto la pressione del parlato sulla scrittura, e auspico piuttosto una pressione dello scritto (in stile elevato) sul parlato degli italiani, che vedrei volentieri dialogare per strada in endecasillabi. Quanto alla ludolinguistica, sono un appassionato di anagrammi (del mio nome e cognome ne avevo rinvenuti circa 500, prima di scoprire l’apposito software), e tra le mie opere è un canzoniere di poesie che sono tutte derivati anagrammatici, con vincoli crescenti, di un sonetto iniziale.


Il gioco permea la sua scrittura. Qual è il suo rapporto col gioco?

Il gioco, in senso esteso, è l’ultima ragione di tutto. Il mondo è un gioco terribile; la mia è una visione ludicotragica. Vi sono giochi dentro giochi; un gioco infimo è la religione. Che la cultura, lo spirito, sia un gioco – che dà senso al vivere, ma un gioco – ce lo insegna Intellettuale ad Auschwitz di Jean Améry. L’unico insegnamento che Mayer/Améry dichiarò di aver ricevuto dal suo internamento fu quella consapevolezza, che anche i più sublimi intelletti possono tardare a raggiungere, e che nel lager lui ottenne semplicemente più in fretta.


I best seller dei nostri tempi sono scritti, in generale, con un repertorio di cinquecento parole. Lei recupera una creatività gaddiana nell’esplorare nuove forme del lessico, dal prezioso “lacricoccodrillare”, la cui morfologia è oggetto di dispute accademiche, ai visuali “biancosbavante” e “spirobaffuto”. È anche questo un gioco, per sedurre i lettori colti?

Non vi è alcun intento conscio di seduzione. Il Finnegans Wake mi folgorò; ma i finneganismi sono come spezie, non bisogna abusarne. In ogni caso, è dall’infanzia che lascio scolubrarsi la mia lingua per gli alba pratalia come vuole, senza porre eteronomi paletti: tutto qui, credo.


Polifonia di registri, contrappunto di stili; la sua scrittura non si esaurisce nel gesto degli occhi, ma produce sonore risonanze mentali: come la musica di Bach e di Beethoven.

Sì, sì! Per esempio, il capitolo La Restaurazione è strutturato come una sonata in quattro tempi, dove il I tempo è una caotica successione di “zapping” che producono un ritmo allucinatorio-accumulante, il II si apre con ossessive figure di ripetizione che creano una sorta di fugato, il III è un “adagietto” – tutto lirismo e dignità – con cui contrasta il IV, un’oscena scena buffa.


Con Prove tecniche di romanzo storico lei è stato finalista al Premio Calvino, come già nei due anni precedenti con altrettanti lavori: un momento creativo straordinario. Che ne è stato dei primi due testi?

Li ho distrutti.


La sua scrittura ingolosisce il lettore; a cosa sta lavorando adesso?

Dovrei risistemare i materiali inediti, in primo luogo le poesie, cui lavoro da molti anni; le stesse Prove sono state strappate all’eterna fase delle revisioni dalla mano provvida dei miei editori. Poi tra i progetti veramente e propriamente futuri, c’è ovviamente il romanzo su Ferdinando Palasciano, che sarà un mattone meraviglioso; ma l’opera principe della mia vita sarà l’enciclopedia che ho da ricavare dal mio diario personale.


Quali sono i suoi scrittori di riferimento?

Li conto volentieri sulle dita di una mano: Dante, Joyce, Carroll, Márquez, Busi.


E Dan Brown dove lo mettiamo?

Sopra la mia nocca.


Ma questo è l’anagramma del suo nome e cognome!

Acc... se n'è accorto.

Edited by Hamlet da Hamelin - 19/12/2009, 06:23
 
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tristanotradito
view post Posted on 14/9/2006, 13:34




«Forse non si è veramente autori che dal secondo libro, quando il nome proprio stampato in copertina diventa il "fattore comune" di almeno due testi diversi e dà l'idea di una persona che non è riducibile a nessuno dei suoi testi in particolare, e che può produrne altri, superandoli tutti».

(Filippe Lejeune)
 
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view post Posted on 20/10/2006, 01:12
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CITAZIONE (Hamlet da Hamelin @ 13/9/2006, 19:05)
Quali sono i suoi scrittori di riferimento?

Li conto volentieri sulle dita di una mano: Dante, Joyce, Carroll, Márquez, Busi.

Per amor di precisione, qui chiarisco: il Busi che ha contribuito alla mia formazione letteraria è quello delle prime opere:


- Seminario sulla gioventù (1984)

- Vita standard di un venditore provvisorio di collant (1985)

- La Delfina bizantina (1987)

- Sodomie in corpo 11 (1988)


Le opere successive non hanno contribuito in modo rilevante.

Edited by Hamlet da Hamelin - 20/10/2006, 19:13
 
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2 replies since 13/9/2006, 18:05   1066 views
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